Apriamo l’anima alla fede e alla Grazia
Nella Parrocchia romana di San Filippo Neri in Eurosia, 19 febbraio 1967, Paolo VI torna a commentare il Vangelo della Trasfigurazione.
… Rimeditiamo insieme, con attento animo, il brano di San Marco testé presentatoci dalla Liturgia di domenica. È il racconto della Trasfigurazione del Signore. Una pagina della storia di Cristo, tra le più belle, splendide e misteriose. Gesù, di notte, su di una montagna, all’aria aperta, forse durante la primavera, con tre suoi Discepoli: Pietro, Giovanni e Giacomo.
Mentre questi, stanchi per l’ascesa, sostano a riposare sull’erba, Gesù si allontana alquanto per attendere alla preghiera, come sempre faceva durante le ore notturne: «Erat pernoctans in oratione Dei», ci ricorda San Luca. Nel buio profondo, a un certo punto i tre dormienti sono destati da un abbagliante guizzo di luce. Ed ecco che, trasecolati, vedono Gesù — San Marco dà alcuni particolari — splendente come il sole, mentre le sue vesti sono candide come la neve. Sole e neve. È la festa della luce. In quel trionfo i discepoli scorgono due eccelse figure dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia, a colloquio con Gesù. San Pietro non resiste alla letizia ed all’entusiasmo. Dopo aver esclamato: Come è bello star qui!, propone di erigere tre tende per un permanente soggiorno dei tre Personaggi. Ma, contemporaneamente, i tre Apostoli vedono formarsi una nuvola bianca ad avvolgere l’intero quadro beatifico: e dalla nube odono una voce possente esclamare: «Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo». Pietro, Giovanni e Giacomo rimangono atterriti e non osano più alzare lo sguardo. Qualche momento più tardi si sentono toccare. È ancora e sempre Gesù, ma privo del prodigioso fulgore di poc’anzi; Egli li invita a discendere il monte; e fa loro divieto di raccontare quanto era accaduto finché — altro motivo di stupore per gli Apostoli — il Figlio dell’uomo(era il titolo che Gesù dava a Se stesso) non sia risorto dai morti. Che cosa, allora, dobbiamo fare? In primo luogo istruirci; aver cara la parola del Signore diffusa nella sacra predicazione, nella catechesi, nei libri adeguati. Gesù non si è rivelato tanto per la via degli occhi, quanto per l’ascolto che dobbiamo prestargli. Ce lo ricorda il Vangelo: «Ipsum audite»: Lui dovete ascoltare. E ancorai «Fides ex auditu»: la fede, cioè la misteriosa conoscenza di Gesù, l’avremo con la fortuna di poterlo ascoltare.
Di conseguenza non solo bisogna essere bravi ascoltatori, ma avidi di apprendere, perché la parola di Gesù è Gesù stesso, è il Verbo di Dio, che viene in maniera intenzionale, misericordiosa, amplissima, alle nostre anime, affinché ivi la sua parola sia ricevuta e divenga norma di vita. Aprire l’anima alla fede e alla Grazia.