Commento al Vangelo del giorno – 09 Maggio 2017 – L’inverno interiore
Il Vangelo di oggi: Gv 10,22-30
Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Commento al Vangelo del giorno:
Nell’annunciare la «bella notizia » di Cristo Gesù, la mano del Signore conduceva i primi discepoli in modo straordinario. Non dobbiamo, però, pensare che adesso le cose siano differenti. È la mano del Signore che costruisce la storia degli uomini, attraverso il tempo. Per questo la «vera storia» è un fatto passato, presente e futuro: la mano del Signore è sempre con noi.
L’annotazione dell’evangelista sulla stagione, «era inverno», è comprensibile perché la festa della Dedicazione cadeva nella seconda metà di dicembre. Pensando ad un’allusione simbolica, sant’Agostino, partendo da tale nota, ha scritto: «”era inverno”, alludendo così ad un inverno del cuore, a quando siamo intorpiditi dal freddo della lontananza da Dio. Quando ho il coraggio di entrare nel cenacolo del mio cuore vi trovo un focolare spento, la legna sparsa sul pavimento, una sorta di sostanziale abbandono. Celebro la Messa ogni giorno, sono apparentemente un bravo cristiano ma nel cuore c’è freddo, un inverno interiore che rende gelide e distaccate le relazioni con chi mi sta accanto o con le persone che incontro. Una sorta di “inospitalità” che nasce dall’essere forestieri in casa propria, in quella cella interiore dove si dovrebbe coltivare e custodire l’intimità e il calore che sono il lievito che fa fermentare un giusto rapporto con noi stessi e con gli altri. Viviamo spesso in un paese lontano, alloggiamo in una stanza presa in affitto per quattro spiccioli e non ritorniamo mai in noi stessi, nel nostro cuore, non passeggiamo più nel giardino di casa. Ed ecco “era inverno”. Come vincere il rigore invernale e aprire le finestre al tepore primaverile? Raccomandava san Carlo Borromeo: “Vuoi che ti insegni come accrescere maggiormente la tua partecipazione interiore e come progredire nella santità? Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè, le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili”. Affrettiamoci quindi a raccogliere i rami della pietà, accediamo il focolare interiore, prepariamoci ad aprire le porte del nostro cenacolo all’eterna primavera: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.