Deuteronomio: Ovvero, solo una voce!
Il Signore vi parlò dal fuoco. Udivate il suono delle parole, ma non vedevate alcuna figura. Era solo una voce.
DEUTERONOMIO 4,12
Questo versetto esprime con grande potenza la visione teologica centrale della Bibbia. Entrambi i Testamenti, infatti, iniziano idealmente con la parola divina. Nei il primo capitolo della Genesi essa spezza il silenzio del nulla e si rivela creatrice: «Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (1,3). È «solo una voce» che dà origine all’essere, non una lotta intradivina tra il dio creatore Marduk e la divinità negativa Tiamat, come insegnava la mitologia mesopotamica. «Dalla Parola del Signore furono creati i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera … Egli parlò e tutto fu creato» canta il Salmista (33,6.9).
Nel Nuovo Testamento l’apertura simbolica è quella del prologo di Giovanni: «In principio era il Logos, la Parola, il Verbo … Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (1,1.3). Il versetto del Deuteronomio da noi proposto aggiunge un’altra dimensione essenziale: la parola di Dio è alla radice non solo della creazione, ma anche della storia della salvezza. Infatti, tutta l’esperienza vissuta da Israele al Sinai è riassunta da Mosè — è lui che sta parlando ora al popolo — in un «ascolto», il verbo che sarà fondamentale nella vicenda della fede biblica («Ascolta, Israele!»).
La liberazione e la costituzione in popolo, così come il dono della terra promessa, sono frutto di un comando divino. Mosè scenderà dal Sinai con le Dieci Parole, ossia il Decalogo, «lampada per i passi nel cammino» della storia (Sal 119,105).
La parola divina, perciò, sostiene e giudica l’intera trama storica del popolo dell’alleanza perché «retta è la Parola del Signore e fedele ogni sua opera » (Sal 33,4).
Il Dio biblico è, allora, il Dio della Rivelazione, della Parola, della Voce (nel nostro versetto si ripete per due volte il termine ebraico qól, «voce»). Non è una statua inerte e muta come il toro sacro, il vitello d’oro, segno di fecondità, che il sacerdote Aronne erige nella valle del Sinai. Significativo al riguardo è il precetto del primo comandamento: «Non ti farai idolo né immagine alcuna [è la «figura» di cui si parla nel frammento da noi citato] di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto terra» (Es 20,4).
Era, questa, una scelta faticosa per un popolo orientale come Israele, affamato di realismo, di immagini, di segni esteriori. Il Dio biblico è inattingibile come il fuoco, non può essere manipolato, non è modellato a immagine umana. Attraverso la potenza della Parola efficace si celebra la trascendenza del Signore, il suo essere Altro rispetto a noi creature umane e alle cose che pure dipendono da lui e dalla sua voce imperativa, che crea, salva e giudica. Canta ancora il Salmista: «Il Signore manda la sua Parola e guarisce, ci scampa dalla fossa… Ma egli invia la sua Parola e fa perire…» (107,20; 147,18).