In questa solitudine
Vivere una vita cristiana significa vivere nel mondo senza essere del mondo. E’ nella solitudine che questa libertà interiore può crescere e svilupparsi. Gesù si recò in un luogo solitario per pregare, cioè per crescere nella consapevolezza che tutto il potere che deteneva gli era stato conferito, che tutte le parole che proferiva venivano da suo Padre; e che tutte le opere che compiva non erano realmente sue, ma opere di Colui che lo aveva inviato. In quel luogo di solitudine, Gesù fu lasciato libero di fallire.
Una vita che non conosca un luogo di solitudine– una vita cioè priva di un centro quieto – facilmente diventa preda di dinamiche distruttive. Quando ci aggrappiamo ai risultati delle nostre azioni facendone il nostro unico mezzo d’autoidentificazione, diventiamo possessivi, inclini a tenerci sulla difensiva, a considerare il nostro prossimo più come un nemico da tenere a distanza che come un amico con cui condividere i doni della vita. In solitudine, gradatamente acquistiamo invece la capacità di smascherare la natura illusoria della nostra possessività, e di scoprire nel profondo del nostro essere che noi non siamo ciò che possiamo conquistare, bensì ciò che ci è stato dato. In solitudine possiamo ascoltare la voce di colui che ci parlò prima che noi potessimo proferire una sola parola, che ci sanò prima che noi potessimo fare un solo gesto in aiuto degli altri, che ci liberò assai prima che noi fossimo in grado di liberare gli altri, che ci amò assai prima che noi potessimo amare chiunque altro.
E’ in questa solitudine che scopriamo che essere è più importante che avere, e che il nostro valore risiede in qualcosa di maggiore dei meri risultati dei nostri sforzi. In solitudine, noi scopriamo che la nostra vita non è un possesso da difendere, ma un dono da condividere (…….), che l’amore che riusciamo a esprimere è parte di un amore più grande.
(H. J. M. Nouwen, Forza della solitudine, Bs 1998)