I riti della Settimana Santa
Che significano i riti della Settimana Santa? Perché ci riuniamo? La risposta più ovvia è: per commemorare la morte del Signore! Ciò non basta. La Pasqua, ha scritto sant’Agostino, non si celebra a modo di anniversario, ma a modo di «mistero». Ora, si ha una celebrazione a modo di mistero, quando non ci si accontenta di rievocare un avvenimento del passato nel giorno in cui esso avvenne, ma lo si rievoca in modo da prendere parte ad esso (Agostino, Ep., 55).
I riti della Settimana Santa non hanno dunque un significato soltanto storico o morale (commemorare degli eventi, esortarci all’imitazione), ma hanno un significato mistico. In essi deve avvenire qualcosa. Non si può rimanerne fuori, come semplici spettatori o ascoltatori; bisogna entrarvi dentro, diventarne «attori» e parte in causa.
Noi, dunque, nella Settimana Santa, compiamo una «azione», e non soltanto una «rievocazione». L’azione da compiere è questa: essere battezzati nella morte di Cristo! Ascoltiamo l’apostolo Paolo, quando scrive: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,34).
Viene spontaneo domandarsi: Ma tutto questo non è avvenuto già il giorno del nostro battesimo? Cosa ci resta ancora da fare che non sia già compiuto? Dobbiamo rispondere: Tutto questo è avvenuto e deve avvenire. Se essere battezzati significa essere «sepolti insieme con Cristo nella morte», allora il nostro battesimo non è ancora concluso. Nel rituale del battesimo c’è, da sempre, una formula breve destinata ad essere usata per i bambini che vengono battezzati «in articulo mortis», cioè in pericolo di morte. Una volta superato il pericolo, questi bambini devono essere condotti nuovamente in chiesa, per completare su di essi i riti mancanti. Ebbene, noi cristiani di oggi siamo un po’ tutti dei battezzati «in articulo mortis». Siamo stati battezzati in fretta, nei primi giorni di vita, per timore che la morte ci cogliesse senza battesimo. È una prassi legittima che risale addirittura alle soglie dell’era apostolica. Solo che, una volta diventati adulti, bisogna, anche in questo caso, completare il battesimo ricevuto. E completarlo non con dei riti supplementari e accidentali, ma con qualcosa di essenziale, che decide dell’efficacia stessa del sacramento, anche se non della sua validità. Di che cosa si tratta? Gesù dice: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,16). Chi crederà e sarà battezzato. Fede e battesimo sono due cose che appaiono sempre unite, nel Nuovo Testamento, quando si parla dell’inizio della salvezza. Il battesimo è il «sigillo divino posto sulla fede del credente» (Basilio Magno). Si tratta di una fede speciale che coinvolge tutta la persona, la fede conversione, «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15), o anche diuna fede pentimento: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo» (At 2,38).
Gesù disse un giorno: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato, finché non sia compiuto! » (Lc 12,4950).
Era alla sua morte che Gesù pensava. Con la sua morte di croce, Gesù ha come acceso un fuoco nel mondo e inaugurato, nel suo fianco squarciato, un Battistero.