Bugiardi
Stamane, prima di recarmi in confessionale, ho preso con me un vecchio libro di Giovanni Papini intitolato “Rapporto sugli uomini”. Tra una confessione e l’altra la mia attenzione è stata catturata dal capitoletto dedicato ai bugiardi. Le affermazioni dell’autore sono lapidarie: « Parlare e mentire sono una cosa sola per tutti: il linguaggio è tutto inzuppato di menzogna. E’ l’acqua che tiene insieme la calcina: se togli l’acqua la calce è polvere che il vento porta via; se togli la menzogna le parole si frantumano in suoni e silenzi». E la verità dove abita? Lo stesso Papini sembra darci un’indicazione quando afferma: «Siamo talvolta sinceri sotto l’influsso del vino o della rabbia, cioè quando non siamo padroni di noi …» Quando i lacci inibitori della comune ragionevolezza si allentano ed emerge quel nucleo folle ed irrazionale che abbiamo relegato nei coni d’ombra del nostro essere emerge e si fa strada la verità. Il perbenismo, il bisogno di gratificazione, la paura di essere giudicati ci porta a mentire, a fare della bugia la più subdola delle virtù. Per non mentire a noi stessi, prima che agli altri, dobbiamo avere il coraggio di incontrare il “nostro fratello minore” , il nucleo folle ed èbbro che la razionalità ha imbavagliato e relegato nella vacuità del nostro nulla. Questo fratello minore è trasandato e sudicio, non conosce le regole della “buona creanza”; per questo con schiettezza ci butta in faccia e chiama per nome le nostre passione, ci imbratta col marciume sedimentato nel nostro cuore, apre le ferite imputridite delle nostre iniquità. Anche l’amico più intimo può nasconderci la verità: «Tutto ci conduce alla menzogna, anche il bene. [….] Si mentisce per pietà: per non atterrire un moribondo, per non distruggere la pace di un tradito, per rendere meno crudo un abbandono, un rifiuto» Il nostro fratello minore non mente mai, con lucida follia ci riconduce alla verità del nostro essere. Per entrare nella verità bisogna dislocarsi dalle dimore della ragione, bisogna abbandonare le garanzie del proprio io ed entrare nella follia repressa nel recondito e che non conosce le regole dettate dalla comune ragionevolezza.
don Luciano Vitton Mea