Commento ai Salmo 6: Peccato e malattia
Signore, non punirmi nel tuo sdegno, non castigarmi nel tuo furore. Pietà di me, Signore: vengo meno; risanami, Signore: tremano le mie ossa. L’anima mia è tutta sconvolta, ma tu, Signore, fino a quando…? Volgiti, Signore, a liberarmi, salvami per la tua misericordia. Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi? Sono stremato dai lungi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, irroro di lacrime il mio letto. I miei occhi si consumano nel dolore, invecchio fra tanti miei oppressori. Via da me voi tutti che fate il male, il Signore ascolta la voce del mio pianto. Il Signore ascolta la mia supplica.
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la spiritualità cristiana conosce da tempo immemorabile una raccolta particolare di sette salmi che vengono denominati “penitenziali”, per una nota di dolore e di pentimento che li caratterizza. Due temi si intrecciano nel Salmo 6: la sofferenza per il male commesso e il lamento per la grave malattia che ha colpito il salmista. Peccato e malattia sono il binomio che caratterizza il tema di questo lamento, una materia scottante che attraversa tutto l’Antico Testamento. Ma nei versi di questa composizione troviamo una novità, una sorta di rottura con la mentalità veterotestamentaria: il salmista infatti non chiede di essere guarito ma di essere salvato: “salvami per la tua misericordia”. E’ lo stesso atteggiamento che anima il lebbroso che nel Vangelo di Marco chiede a Gesù: “Se vuoi puoi purificarmi”. La malattia non è più un mero castigo ma diventa una rappresentazione analogica del peccato. Come un morbo pernicioso “mangia la carne”, ricopre il corpo di piaghe purulenti così chi avverte in se il peso dei suoi peccati, il dolore per il male commesso, lo strazio e il rimorso per la gravità dei suoi atti. E’ ovvio quindi che ci sia un legame tra il peccato e la malattia; come l’infermità fisica genera emarginazione, sospetto e ostracismi (basti pensare alla lebbra) così il peccato provoca tristezza, una sofferenza psichica che non viene compresa dagli altri, un’oscura e impalpabile presenza che si percepisce ma non si riesce a combattere. Per questo l’autore di questa bellissima preghiera, ispirato da Dio, confessa il suo peccato e lo considera come un pelago tetro e buio (nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?), un’onda distruttrice che lo sta sovrastando fino a farlo affogare.
Signore, non punirmi nel tuo sdegno, non castigarmi nel tuo furore. Pietà di me, Signore: vengo meno; risanami, Signore: tremano le mie ossa. Questa invocazione, questa richiesta di perdono è la chiave di lettura di tutto il salmo e la base di qualsiasi itinerario di conversione. Quando scende la sera, prima di accostarci al sacramento della riconciliazione o durante tutto il periodo quaresimale non dimentichiamoci di questo Salmo, invochiamo il Signore dicendogli: «Volgiti Signore a liberarmi, salvami per la tua misericordia».