Commento al Vangelo del giorno – 02 Novembre – Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna
Il Vangelo di oggi: Gv 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Commento al Vangelo di oggi:
Come il Padre non ha abbandonato Gesù alla morte, così, seguendo le orme di Gesù, anche la morte del cristiano non è la morte di uno schiavo, ma quella di un figlio. «Scrivi: “D’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore”. Sì, dice lo Spirito, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono » (Ap 14,13). È la «comunione» della Chiesa: «Si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi»
Leggendo questo brano di vangelo, mi è venuta in mente l’immagine della chiave. Ci vuole sempre una chiave (o un codice d’accesso nel caso di cancelli telecomandati dall’auto o delle casseforti) per aprire tutte le porte, anche quelle più pesanti, anche quelle realizzate con legno pregiato. Giocando con i suoi incastri, la chiave apre tranquillamente le serrature e ti fa entrare in casa. Se la perdi, questa possibilità ti viene meno finché la trovi o fai un’altra chiave. Gesù infatti dice: “Che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Senza Gesù il nostro cuore è un tranello a se stesso. Meglio ancora è un impasto, come suggerisce uno scritto di don Tonino Bello: “Sono un impasto di mansuetudine e ira, di superbia e di modestia, di bontà e di durezza. Sono un intruglio di fervore e di frigidezza, di dissipazione e di raccoglimento, di slanci impetuosi e di apatica immobilità. Sono un polpettone di carne e Spirito, di passioni indomite e di mistiche elevazioni, di ardimenti coraggiosi e di depressioni senza conforto. Dio mio, purificami da queste scorie in cui naviga l’anima mia; fammi più coerente, più costante. Annulla queste misture nauseanti di cui sono composto, perché io ti piaccia in tutto, o mio Dio”. Può Gesù “operare” in mezzo a tante scorie? Certamente. Egli è nato in mezzo alla paglia, non in un appartamento tirato a lucido. Egli è morto tra schegge di legno e rivoli di sangue, non in un ospedale asettico. Egli è risorto tra lo stupore delle donne accorse al suo sepolcro e l’incredulità degli apostoli che non avevano compreso le scritture. Ed ancora opera.