Commento al Vangelo del giorno – 17 Maggio – Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me

Il Vangelo di oggi: Mc 9, 30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Commento al Vangelo del giorno:
L’umiltà è un tratto essenziale del discepolo di Gesù: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35). Questo è l’insegnamento di Gesù, che ci invita a metterci a servizio degli altri. San Giacomo ci esorta a riconoscere la nostra miseria, coscienti che di fronte al Signore siamo povere creature : «Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà» (Gc 4,10).
Oggi la lettera di Giacomo e il Vangelo di Marco ci invitano all’umiltà propria del bambino. C’e, infatti, l’umiltà eroica di Giobbe che sa accogliere da Dio il bene e il male. Ma essa è di quei pochi che crescono in saggezza, proprio attraverso le prove della vita. C’è la cosiddetta “umiltà” di chi si ritiene di per sé meschino, perché ha ricevuto un solo talento e lo sotterra. Questa, però, non è veramente umiltà ma si tratta di complesso d’inferiorità e di mancanza della giusta autostima. C’è, infine, l’umiltà di chi si fida di Dio, sempre, soprattutto nel tempo del dolore. È l’umiltà di Gesù che, nel Getsemani, angosciato per la morte imminente, gridò a Dio, chiamandolo: “Abba, papà!”, come fa il bambino, quando vuole essere confortato. Quest’umiltà fiduciale non si inventa nel momento della prova, piuttosto emerge in essa se prima abbiamo fatto esperienza dell’abbraccio amoroso di Dio. Il Getsemani suppone il Tabor e tutti gli altri momenti di preghiera solitaria nella quale Gesù sentì fortemente l’amore del Padre suo. Anche Maria trovò la forza di restare sotto la croce del Figlio, perché aveva conservato nel suo cuore le parole con cui l’Angelo la assicurava che lei aveva trovato sempre grazia davanti a Dio. Poi vengono i Martiri, i quali hanno saputo affrontare intrepidi i più atroci tormenti, perché nell’Eucaristia celebrata nelle loro Comunità avevano “gustato quant’è buono il Signore”. Infine, noi, che per essere umili dobbiamo seguire “la piccola via” che ci ha proposto santa Teresa di Gesù Bambino, la quale ha saputo cantare all’Amore, anche quando, spiritualmente parlando, si sentiva all’inferno. E ha saputo far questo perché, nel tempo della consolazione, si è lasciata letteralmente cullare dal suo Buon Dio. Prendiamo, dunque, sul serio i nostri momenti di preghiera, e in essi, come bambini, lasciamoci abbracciare da Dio, nostro Padre amoroso.