Non indossa un abito sgargiante

O selve battete le mani /quando lo vedete passare: / sandali porta di pellegrino / o come ortolano vestito / o con sacco di mendicante.

Questi versi di David Maria Turoldo andrebbero letti ogni mattino, appena il sonno cede il passo ai raggi del nuovo giorno. Sono un inno alla grandezza di Dio, ci aprono il cuore per scorgere, oltre la banalità, ciò che agli stessi occhi rimane invisibile. I boschi, gli animali selvatici, i fiumi battono le mani, applaudano al perpetuo e continuo passaggio di Dio. Solo gli uomini rimangono muti,  impassibili, non scorgono, non vedono. Forse perché il passaggio di Dio non fa rumore, non è eclatante. Porta un paio di sandali. Il ritmo dei suoi passi si confonde con il canto degli uccelli, col soffio del vento che accarezza con pudore le foglie dell’albero, con lo scorrere delle acque fresche che danzano tra i ciottoli o i  piccoli dirupi del greto. Non indossa un abito sgargiante, che attira l’attenzione delle umane vanità. Veste gli abiti di un contadino, gli umili panni di un ortolano. A Dio non sono concessi lussi di alcun genere. Deve coltivare, seminare, prendersi cura delle sue creature, di ogni creatura. Come la donna è curva sul riso che sta mondando così Dio è curvo su di me, su di te, intento a zappettare, ripulire, sarchiare, la divina immagine impressa nell’umana natura. Tutto il giorno in cammino. Spesso si ferma e bussa alle porte delle nostre case ricoperto di sacco, quasi a ricordarci le umane miserie, tende la mano, mendica un tozzo di pane. Dio ha bisogno di noi solo per ricordarci che siamo dei bisognosi, cioè creature, tratti dal fango e plasmati dalle sue mani. La porta rimane chiusa, si apre la finestra e lo liquidiamo con quattro spiccioli. Siamo occupati, abbiamo tante cose da fare, ci manca il tempo per accogliere uno sprazzo d’eternità. Così se ne va tra i viottoli mentre i boschi, gli animali selvatici e i fiumi battono le mani e applaudono al continuo e perpetuo passaggio di Dio.

don luciano vitton mea