Libro di Giobbe: Come vino che squarcia gli otri nuovi!
Sul palcoscenico del dramma di Giobbe irrompe, inaspettato, un nuovo personaggio. Si tratta di di Eliu, figlio di Barachele il Buzita, della tribù di Ram. Giovane e sicuro delle sue tesi si scaglia non solo contro Giobbe ma anche contro i suoi tre amici, rei di non essere riusciti a confutare le ragioni dell’ “uomo ricoperto di piaghe”:
«Giovane io sono di anni e voi siete già canuti; per questo ho esitato per rispetto a manifestare a voi il mio sapere […].
Non sono i molti anni a dar la sapienza, né sempre i vecchi distinguono ciò che è giusto. Per questo io oso dire: Ascoltatemi; anch’io esporrò il mio sapere» . Dopo aver dato il ben servito a Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita, Eliu si rivolge, con piglio spigliato, direttamente a Giobbe: «Ascolta dunque, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l’orecchio. Ecco, io apro la bocca, parla la mia lingua entro il mio palato. Ecco, io sono come te di fronte a Dio e anch’io sono stato tratto dal fango:ecco, nulla hai da temere da me, né graverò su di te la mano».
Parte col piede sbagliato il giovane teologo; “dirà sagge parole e le sue labbra parleranno chiaramente” ma parte con la nota sbagliata. Che l’uomo sia fango davanti a Dio è pura verità ma le condizioni esistenziali di questo fango non sono tutte uguali; il fango di Eliu è liscio, senza screpolature, porta ancora le carezze delle mani che lo hanno plasmato; quello di Giobbe è ricoperto di croste, i vermi “vanno e vengono” dalle crepe che lo attraversano. Nel letamaio di Giobbe bisogna entrare in punta di piedi, con discrezione, senza toni saccenti. Non si può pretendere di essere sullo stesso piano di Giobbe montando in cattedra, pretendendo di indossare panni che ancora non si conoscono. E’ un conto parlare della sofferenza e un altro è soffrire, essere divorati dalle piaghe e dai vermi. Quando si entra nelle periferie e nei deserti dei “dimenticati” bisogna indossare gli abiti della discrezione, immedesimarsi col dolore innocente, aver fatto tirocinio tra i corridoi angusti della disperazione. I tre amici venuti da lontano avevano avuto il pudore di sedersi e di tacere prima di proferire le loro sentenze; in Eliu c’è un «vino che squarcia gli otri nuovi. Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò». Lo assaggeremo questo vino ma con moderazione; va centellinato il vino novello perché nei letamai il suo profumo e quello delle viti sono un lontano ricordo. Nel baratro di Giobbe manca l’acqua della fonte e le sorgive; altro che vino nuovo: nei letamai ci sono solo pozzanghere di acqua stagnante dove le zanzare depongono le loro uova. Un po’ di moderazione, caro Eliu: qui hanno bisogno di otri d’acqua fresca più che di un sorso di vino. Prima gli acquedotti poi le botti di vino nuovo.