Ogni giorno, 13 in meno
Il rapporto di Open Doors sulla strage di cui l’Occidente non si cura 340: milioni di fedeli nel mondo vivono sotto un regime di persecuzione: un cristiano ogni otto.
Sono numeri. 340 milioni nel mondo che sperimentano un livello alto di persecuzione a causa della propria fede. Un cristiano ogni otto. 4.761 uccisi in un anno per quello che sono e in cui credono. Una media di tredici vittime ogni giorno. 4.488 le chiese distrutte. Ma sono anche storie. Come due sorelle pachistane, Sajida e Abida, che sono state appena rapite, stuprate e assassinate perché non hanno accettato di convertirsi all’islam e di sposare i loro rapitori. I loro corpi sono stati ritrovati in una fogna. Storie, dicevamo, come quella di una coppia di caldei rapita dal loro villaggio al confine sud-orientale della Turchia. Villaggio la cui millenaria storia cristiana è stata distrutta dagli attacchi dell’esercito turco contro i curdi. La coppia vi aveva fatto rientro resistendo alle ripetute intimidazioni da parte delle autorità di andare via. Erano gli ultimi cristiani rimasti. Il corpo della moglie è stato ritrovato; di quello del marito non c’è traccia. Numeri e storie che intessono il rapporto di Open Doors/Porte Aperte sulla persecuzione anticristiana. I cristiani uccisi per ragioni legate alla fede crescono del 60 per cento, con la Nigeria eletta terra di massacri settari, assieme ad altre nazioni dell’Africa Subsahariana colpite dalla violenza jihadista anticristiana, questa grande faglia religiosa, dove interi paesi sono spezzati dalle due religioni monoteistiche, prima di scendere a sud e veder scemare l’influenza islamica. Nella top ten dei paesi con più uccisioni di cristiani troviamo otto nazioni africane. Giorni fa, Yusuf Kintu, ex imam della moschea dell’isola di Dolwe in Uganda, dopo essere diventato cristiano è stato ucciso da una folla di musulmani, “scioccati” dalla conversione. Al primo posto dal 2002 troviamo sempre la Corea del nord, la versione moderna dell’antico regno di anacoreti dove si stimano 70 mila cristiani detenuti nei campi di lavoro per motivi legati alla fede. Seguono quattro nazioni islamiche, “evidenza del fatto che l’oppressione islamica rimane una delle fonti principali di intolleranza anticristiana”. In paesi come Afghanistan, Somalia e Libia la fede cristiana va vissuta nelle catacombe e, se scoperti, si rischia la morte. Poi il Pakistan, stabile al quinto posto, dove la persecuzione si manifesta in discriminazioni quotidiane, anche per effetto della “legge nera” sulla blasfemia. A ottobre c’era stato il caso di Arzoo Raja, 13 anni, costretta alla conversione all’islam e al matrimonio con un uomo di quarant’anni. Sfidando la paura e le minacce, i cristiani sono scesi in piazza a Karachi brandendo croci e cartelli con scritto “stop conversione forzata” e “stop spose bambine”. A Karachi, nella colonia di cristiani nota come Essa Nagri, è stata rapita una bambina cristiana di cinque anni, Marwa. Violentata e uccisa, i rapitori ne hanno bruciato il corpo e l’hanno gettato in una discarica.