Pagina biblica: Osare l’inosabile. Commento al Libro di Giobbe
Il Libro di Giobbe è una perla preziosa incastonata nel radioso diadema della Parola di Dio. E’ uno dei libri più belli e, ahimè, mene conosciuti dell’Antico Testamento. Per comprendere la bellezza di Giobbe dobbiamo andare oltre lo stereotipo dello “sfigato” che accetta pazientemente le disgrazie e le sofferenze che lo hanno colpito improvvisamente tra “capo e collo”. L’autore di questo meraviglioso capolavoro osa ciò che nessun altro autore sacro ha mai immaginato di osare: mettere sotto accusa Dio stesso. Si, Giobbe fa proprio questo! Ha l’ardire di processare Dio, di chiedergli conto della sofferenza innocente che dai cumuli di cenere della storia umana si leva straziante verso il cielo. Giobbe vuole capire, affronta Dio ponendogli dei perché, delle domante al limite del blasfemo ma profonde come i fondali degli oceani. Giobbe ama Dio e proprio per questo non si accontenta delle spiegazione dei teologi del suo tempo, di coloro che difendono Dio ad oltranza tradendo così le aspettative di chi è seduto sui letamai dell’umana sofferenza. Dio non ha bisogno di chi lo difende ma di essere liberato dalle prigioni concettuali dove spesso viene rinchiuso. Com’è vero Giobbe: maledice il giorno in cui è nato, dichiara la propria innocenza, difende le proprie ragioni permettendo così a Dio di rivelarsi, di uscire dagli stereotipi di ieri e di oggi.
Giobbe ci insegna a non essere banali di fronte alle lacrime degli uomini, a prendere sul serio le piaghe purulenti di chi giace su un cumulo di letame. Di fronte a un malato di cancro, a una mamma che ha perso il proprio bambino, a una donna o a un uomo traditi e abbandonati non prossimo accontentarci di un “non cade foglia che Dio non voglia; ti ricorderò nelle mie preghiere”.
Ogni risposta superficiale di fronte all’umano soffrire diventa bestemmia, raggiunge il limite della blasfemia. L’uomo piagato non ha bisogno di una “pacca sulle spalle”, di vaghe promesse, di un’eternità disincarnata dal lento claudicare di questa vita terrena. Anche l’uomo che striscia tra gli immondezzai ha il diritto di avere una risposta, di trovare un senso a ciò che umanamente appare come mera ingiustizia. Giobbe prende Dio per il bavero e lo scaraventa tra i lazzaretti di questo mondo, pretende di capire e di comprendere, vuole delle spiegazioni.
Mentre i teologi del suo tempo, rappresentati dai petulanti amici che lo vengono a consolare, difendono Dio mascherandolo con i tratti tenebrosi di colui che castiga le colpe degli uomini, Giobbe, processando l’Improcessabile, permette all’Accusato di difendersi, di prendere con autorevolezza la Parola, di riappropriarsi della sua sovranità.
don Luciano Vitton Mea