Una Chiamata scomoda

C’è un deserto dove ti rifugi con il tuo gregge per sentirti sicura come Mosè con il gregge di Ietro; credi che sia sufficiente la distanza dall’Egitto, dal tuo recente passato; forse ti pesa l’esilio, ma ti pare un prezzo sufficiente per costruirti una tua autonomia, un tuo progetto. Quando poi ti senti chiamata, sussulti di gioia per questo inatteso incontro ed insieme ti coglie lo sgomento perché tutto viene rimesso in questione. «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia» (Es 3,3). E il Signore chiama per nome, chiama il tuo nome. `Eccomi’. Signore mio! Ho risposto affermativamente. Troppo presto. Troppo in fretta. Ora che cosa mi accadrà? Chi sei Tu? Non so quello che vuoi da me, eppure so già che vuoi tutto, che vuoi troppo. Nascondo il mio volto perché ho paura di guardare Te.
Tu sei il Dio della mia storia, il Dio dei miei padri. Tu conosci tutto ciò che finora è accaduto e che Tu hai lasciato accadere. Ora Tu intervieni e chiami me. Ma chi sono io? «Ma chi sono io?». Domanda insidiosa. Tutto può fermarsi qui. Il chiamato si ripiega, si guarda, si specchia: «Chi sono io?». Può restare muto come Zaccaria, il padre del Battista. Il Signore lo porta attraverso un deserto di silenzio, di castigo fino all’attuazione del Suo intervento provvidenziale. Il Signore fa anche senza di te, oppure ti usa come uno strumento inerte. Ma se tu riesci a scavalcare te stesso, l’ingombro delle tue informazioni fisse, delle tue esigenze di verifica, delle tue paure, allora può iniziare per te un’avventura nuova, quasi una nuova creazione in cui esce dal caos del tuo essere una immagine di Lui: può avere inizio un esodo di liberazione e di conquista.
Prima dell’esodo, prima del cammino nel deserto vi è, generalmente, il dialogo faticoso, la lotta fra Dio che chiama, che conosce il mio nome e mi vuole affidare una Sua missione, anzi, mi vuole affidare Se stesso, e io che resisto, che dubito, che mi divincolo, che cerco mille scuse, che preferisco la mia mediocrità ai prodigi che Egli mi promette. Io mi attacco alla mia incapacità, alla mia balbuzie, pur di non uscire allo scoperto. Ma Lui è disposto a tutto, è disposto al rischio di affidare al mio fallimento il Suo amore e la Sua gloria. Poi ho ceduto. Lui mi avrebbe preso tutto, lo capivo bene anche se forse facevo già qualche calcolo per vedere di sottrargli qualcosa, di tenere qualcosa per me. D’altra parte Lui mi era diventato necessario. Occupava ogni pensiero e ogni mio desiderio. Per quanto mi sforzassi di ricondurmi alle categorie che mi avevano fino allora determinato, non potevo prescindere da quella Presenza. Non potevo ignorarlo. Avrei solo potuto rifiutarlo. E sapevo ormai che non solo il mio esistere, ma anche la mia felicità dipendevano dal mio assenso, dalla mia totale e irrevocabile capitolazione a Lui.

Meditazione di una monaca della Visitazione