Gesù ci invita a non accumulare tesori sulla terra. Con il termine “tesoro” evidentemente non si intende la proprietà. La proprietà è necessaria per la sussistenza personale; il tesoro è qualcosa che viene nascosto in deposito, che rassicura l’uomo, anche se di solito egli non lo usa, ma si compiace soltanto del suo possesso. Fin dai primi secoli, la morale cristiana distingueva tra la proprietà necessaria e quella superflua. Quest’ultima non è nostra ma appartiene ai poveri. Il nostro superfluo è degli altri, dei poveri. Spesso però ci attacchiamo al denaro, anche se non ci serve, perché potrebbe servire in futuro, per una malattia, un rovescio di fortuna improvviso, un periodo difficile. È ragionevole ma può essere un’illusione che ci porta a fare del denaro il nostro idolo, la soluzione che ha il potere di proteggerci in ogni situazione. Un po’ come ha fatto il ricco del Vangelo la notte prima che il Signore gli chiedesse la vita (cfr. Lc 12,16-21). In realtà il rischio è perdere di vista che la vita e la morte sono nelle mani di Dio. Quello che Gesù ci sprona a fare è accumulare tesori in cielo; e si capisce bene come. L’elemosina che doniamo al povero, con quella purezza di intenzione che Gesù ci chiedeva nel Vangelo di due giorni fa, è il tesoro che noi trasferiamo in cielo. È un “bonifico bancario” per il nostro conto in cielo, o se vogliamo il nostro “fondo pensione” per l’eternità. Un santo diceva che l’uomo possiede davvero solo quello che ha regalato. Se è vero che nel tesoro del cielo vengono accumulate tutte le opere buone, questo non avviene ovviamente in senso materiale ma come perfezione dell’uomo, come ornamento dell’anima che si è sforzata di far crescere dentro di sé la bellezza del cuore e di assomigliare di più a Gesù, di vivere come Gesù, facendo il bene al suo prossimo.