Il passato non è passato, ma custodito, e rimane per sempre. Siamo noi che lo dimentichiamo e ci allontaniamo da esso; ma poi, a seconda delle circostanze, esso si rivela di nuovo come eterno presente”
Così scrive Pavel Florenskij, sacerdote ortodosso, dal campo di concentramento delle isole Solovki nel Mar Bianco, alla moglie Annulja. Il passato non è collezione di pagine sbiadite e ingiallite dal tempo. Non è nostalgia per il tempo che non ritorna più. È il tempo della memoria, delle radici. È il tempo dell’innamoramento e del trasporto. Degli errori e degli entusiasmi. Della preparazione e delle scoperte. Dimenticare il passato è ingratitudine e insensatezza, poiché tutto diventa passato. Toglierlo equivale ad azzerare la vita. Il ricordo del passato è insieme un dovere e il contenuto della vita, e non è possibile apprezzare il presente e goderne, se esso non è radicato nel passato. Senza memoria, come dice Bergson, non c’è coscienza. Senza memoria non c’è speranza. Chi dimentica il passato è costretto a rifarlo. Chi lo sfoglia e lo richiama con intelligenza sa trovare gusto e utilità nel presente. Mette le premesse per il futuro. Prepara il domani dell’uomo e della società. È l’eredità che stiamo consegnando alle nuove generazioni?