Meditazione sul Venerdì Santo
Con Cristo infatti, l’irrazionale, che è già nella nostra natura, è entrato nel mondo, prese corpo nel mondo in una maniera sconcertante. Il mondo ha preso una nuova dimensione, la dimensione di coloro che danno la vita per coloro che amano. La Croce è l’unità di misura di questa nuova dimensione umana che sconfina sull’Eterno: il Crocifisso è la presenza di questa nuova realtà; senza la quale non si capisce niente e tutto diventa disumano, quaggiù. — C’è proprio bisogno — mi sento dire — di questa illogica dimensione, che vuole il sacrificio? Non è un nuovo tormento buttato sulle spalle e sul cuore dell’uomo? Perché chiedergli una devozione che gli impedisce di vivere? Se il Cristo è la voce di questa esigenza imposta all’umanità meglio riprende e il grido del Pretorio: «Crocifige, crocifige! » Ma il tragico incomincia appunto dopo il Crucifige. Il Morente non muore perché, in ognuno di noi, anche in colui che grida «toglilo! toglilo», c’è il segno di una croce, presagio e conferma di quella del Calvario. Che io lo voglia o no, la mia vita è legata al mio perdermi per coloro che amo. «Chi perde la propria vita, la ritrova». La più illogica affermazione, la più folle pretesa urge nel mio cuore: «Caritas Christi urget nos». Qualche cosa si sprofonda in me: il mio egoismo frana, si apre un abisso che diventa il punto di inserimento d’una logica che sono costretto a riconoscere come l’unica strada della mia felicità e della mia ricchezza umana.
don Primo Mazzolari