Questa cosa molto ingiusta si verifica in ogni guerra: tutti rivendicano per sé il merito dei successi, mentre la colpa degli insuccessi viene fatta ricadere su uno solo.
Che il successo abbia molti padri, mentre l’insuccesso rimane orfano, è una verità che non si dimostra solo in guerra, come voleva il grande storico romano Tacito nella sua commossa biografia del suocero Agricola, caduto vittima della gelosia dell’imperatore Domiziano. Guai a essere coinvolti in qualche scacco o in una sconfitta di qualsiasi tipo: è questa l’occasione per conoscere cosa sia la solitudine. Gli amici prendono subito le distanze, gli inviti si diradano, una cortina di silenzio e di distacco circonda subito la nostra vita. In quel momento l’unico aspetto positivo è quello più difficile da far digerire al nostro orgoglio. Lo esprimeva molto bene Bossuet, celebre vescovo e oratore del Seicento, nella sua orazione funebre per Enrichetta Maria di Francia, regina d’Inghilterra: «Gli insuccessi sono i soli maestri che possono rimproverarci utilmente e strapparci quella confessione di aver sbagliato che costa tanto al nostro orgoglio». Al contrario, quando si è sulla cresta dell’onda, non solo la folla degli amici s’infittisce ma si moltiplicano anche quelli che accampano meriti, che svelano segrete connivenze, che ostentano antiche e motivate amicizie. Alexandre Dumas padre, l’autore dei Tre moschettieri, aveva una battuta — è un lettore a segnalarmela – che suonava così: «Nulla riesce meglio del successo: è la calamita morale che tutto attira a sé». La lezione è facile a dirsi ma difficile a praticarsi: umiltà, pazienza e coraggio nell’insuccesso; intelligenza, realismo e ancora umiltà nel giorno del successo.