Il pastore, figura simbolica della precarietà umana, passava la sua vita in un continuo spostamento alla ricerca dei pascoli migliori per le sue greggi. Per chi vive in montagna, come il sottoscritto, è ancora facile vedere, nella tarda primavera, passare i pastori, accompagnati dai fedelissimi cani, mentre conducono le greggi sugli alpeggi di media e alta altitudine. Quando li vedo nei prati, mentre pascolano le loro pecore, mi fermo e passo alcuni minuti ad osservarli. Questo antichissimo mestiere è sempre stato l’emblema della nostra stessa natura umana. Subito dopo la cacciata dal Paradiso terreste la Bibbia ci presenta, in Abele, l’uomo ramingo, cioè pastore. Anche nelle antiche mitologie troviamo divinità poste a protezione della pastorizia. Cerchiamo di trarre alcuni brevi suggerimenti spirituali che ci vengono dettati dalla figura del pastore. Gesù stesso si definisce il “buon pastore” che si prende cura di ogni singola pecora, cioè di ogni singolo uomo. Un pastore che protegge il suo gregge anche quando è minacciato dai lupi. Egli è anche il pastore misericordioso che lascia le novantanove pecore al sicuro nel recinto per andare alla ricerca di quella smarrita. Con questa immagine ci insegna che ogni uomo ha un valore inestimabile agli occhi di Dio. Il mestiere del pastore ci ricorda anche il mistero dell’ umana solitudine. Infatti il pastore vive a lungo lontano dagli altri, solo con le proprie bestie, continuamente in cammino alla ricerca di posti nuovi dove far brucare le pecore. Così è la vita dell’uomo: un lungo cammino verso la dimora definitiva, una continua ricerca di uno sprazzo di cielo, nascosto dalla caligine del nostro egoismo. Il pastore ci ricorda altresì la virtù della vigilanza. Infatti i pastori dovevano essere sempre vigili perché in passato era proibito pascolare in terreni “pascolivi” senza permesso o bisognava stare attenti che le pecore non sconfinassero in proprietà altrui. Così il cristiano. Egli deve essere sempre sveglio e pronto perché non conosce “né il giorno, né l’ora” del ritorno del suo Signore. Inoltre deve vigilare sulla propria condotta, perché, come ci ricorda San Francesco, “Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali, Beati quelli ke troverà ne le tue sanctissime voluntati, ke la morte secunda nol farà male”.
don luciano vitton mea