Dio, un mendicante
Dio, un mendicante. Gira con fare circospetto e due occhi timidi tra le nostre case, siede infreddolito all’angolo della strada, raccoglie tra le mani, come fossero una ciotola, l’acqua che sgorga tra le rocce che da sempre si scagliano, come sentinelle, a guardia del villaggio. Bussa alle nostre porte, si accontenta di poco, racimola alcuni tozzi di pane. Mangia sui gradini di quella casa semi diroccata, dorme sotto le stelle, e quando piove, sotto le volte dei vicoli o nei fienili abbandonati. Dio, un forestiero. Parla un linguaggio che non conosciamo, indossa strani abiti, ci vende cianfrusaglie che costano pochi spiccioli. Un accendino, un pettine, un paio di occhiali. Poi si carica sulle spalle una grossa e pesante borsa e riprende il suo viaggio, verso un paese lontano, inghiottito dal nulla, un destino avvolto nella precaria quotidianità fatta di stenti. Dio, un bambino. Il volto scarno, il ventre gonfio. Entra nelle nostre case tra le mille immagini che la televisione ci propina ogni giorno. Non fa notizia, quasi sempre appare nei programmi che vanno in onda quando tutti dormono. Non deve e non può disturbarci. Dio, un malato. Inchiodato sul letto, tanto simile ai legni della croce, con lo sguardo velato dal tramonto dei giorni terreni, tra i gemiti che la sofferenza strappa da una gola riarsa dalla febbre. Dio, il mio prossimo. Passaporto per l’eternità, dolce presenza che indica la strada verso un regno senza fine.
Don Luciano