Bisogna risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie e questa nuova forma di espressione deve maturare nel silenzio.
Non è la prima volta che attingiamo allo straordinario diario, edito in italiano da Adelphi, che ci ha lasciato Etty Hillesum, giovane donna dalla forte genialità e dalla temperie mistica, uccisa dai nazisti nel lager di Auschwitz a soli 29 anni nel 1943. Lo facciamo anche oggi con questa semplice riflessione sulle parole inutili e su quelle necessarie. Non è certo un tema poco esplorato nelle nostre brevi considerazioni: ci siamo ritornati più volte, anche con un po’ di esitazione e di autocritica, perché sono molte, forse troppe, le parole «inutili» da noi spesso usate. Proprio per questo bisognerebbe sempre esercitare una sorta di ascesi del linguaggio, che talora dovrebbe diventare persino digiuno e quindi silenzio. Un silenzio – dice Etty, cioè Ester – dal quale far sbocciare quelle poche parole «necessarie», quelle che incendiano i cuori, che illuminano le coscienze, che rallegrano la vita. Mi ha sempre impressionato una battuta del poeta francese Charles Péguy: «Alcuni si strappano le parole dalle viscere, altri le tirano fuori dalla tasca del soprabito». Le prime sono appunto quelle necessarie, calibrate, cariche di significato e di verità; le altre sono il flusso instancabile e inesauribile della chiacchiera vana e vacua. Ecco, allora, un esercizio da praticare: purificare il proprio linguaggio sia riducendo lo sproloquio sia abbassando i toni. Un altro poeta francese, Paul Valéry, ammoniva: «Tra due parole scegli sempre la minore» perché è nella semplicità pacata che ama avvolgersi e rivestirsi della verità.
Mons. Ravasi