Quel volto, il nostro volto
“Un giorno, mentre era a cavallo nei pressi di Assisi, Francesco si imbatté in un lebbroso. Quell’incontro inaspettato lo riempì di orrore: a quel tempo infatti provava una terribile ripugnanza per quella malattia. Ma poi pensò che per diventare cavaliere di Cristo doveva prima di tutto vincere se stesso. Perciò scese da cavallo, corse ad abbracciare il lebbroso e questi, che gli aveva steso la mano come per ricevere qualcosa, ne ebbe contemporaneamente denaro e un bacio. Francesco risalì a cavallo, subito si guardò attorno e, sebbene la campagna si stendesse aperta e libera da ostacoli, non riuscì più a vedere il malato. Allora ricordò le parole del profeta su Cristo crocifisso che aveva assunto l’aspetto di un lebbroso e, colmo di meraviglia e di gioia, cominciò a cantare devotamente le lodi del Signore. Da quel giorno visitò spesso le case dei lebbrosi e, elargendo loro una generosa elemosina, ne baciava il volto e le mani”. L’abbraccio tra Francesco d’Assisi e il lebbroso è l’icona più bella della misericordia; ogni opera di misericordia spirituale e corporale è sintetizzata in quella stratta tra chi è sano e chi porta nella carne i segni della malattia e della sofferenza. Quello di Francesco è un gesto del tutto straordinario, tipico dei grandi santi; noi possiamo solo desiderare tanta grandezza d’animo, ma dobbiamo fare i conti con le nostre fragilità, una qual forma di neghittosità verso tutto ciò che appartiene alle vette più alte dell’amore. Il nostro “donarci” è sempre contrassegnato da un limite che facciamo fatica a superare; l’andare oltre lo riteniamo sempre prerogativa dei grandi, degli eroi, dei santi, per l’appunto. Ci dimentichiamo che la santità è l’unica e vera chiamata del cristiano, la grandezza d’animo deve far parte dell’ ordinarietà e non della straordinarietà. Come fare? Mi è venuto tra le mani un appunto estrapolato dall’ Etica Nicomachea di Aristotele: “Ciascuno è attratto da ciò che conosce, e solo di questo si fida”. Il lebbroso abbracciato da Francesco non è uno sconosciuto e non ci deve far paura; lo conosciamo, fa parte di noi, meglio, vive in noi. Nel recondito di noi stessi abita un fratello minore che assume di volta in volta un volto diverso: talune volte è un malato di lebbra, altre volte è un povero Giuda; poco dopo si presenta con le piaghe purulenti della mediocrità, altre volte ha con se il fardello e le lacrime di un breve ma sincero pentimento. Il bacio d’ Assisi, diventa il nostro bacio tutte le volte che compiamo un’ opera di misericordia, soprattutto quelle di natura spirituale. Quando ci apprestiamo ad ammonire un peccatore, consigliare un dubbioso, consolare un afflitto, sopportare pazientemente una persona molesta, perdonare un torto ricevuto non dimentichiamoci di quel abbraccio; non baciamo un forestiero o un “tutt’altro”, abbracciamo il nostro fratello minore, abbracciamo noi stessi.
don Luciano